Rispetto e responsabilità

Si dice che la nostra società sia orfana di valori fondamentali, quali ad esempio il rispetto e il senso del dovere verso la famiglia, la patria, le istituzioni, e che questa lacuna sia una delle motivazioni fondamentali delle criticità della cultura attuale. Occorre subito distinguere il termine dovere dal termine responsabilità.

In ambito psicologico, in base all'approccio psicodinamico, il dovere richiama una struttura inconscia definita da S. Freud come Super-Io, che è responsabile di nostri atteggiamenti morali con connotazioni normative ed ha spesso caratteristiche di rigidità e intransigenza e talvolta persino di grande severità.
Lo stesso Freud indicava l'origine del Super-Io nella identificazione con ciò che il bambino percepisce già in età precoce nel rapporto con l'autorità e la normatività genitoriale. Pertanto la strutturazione del Super-Io crea un mondo interiore tendenzialmente rigido, influenzato da emotività, paure e piccole e grandi ferite interiori. Di contro il concetto di responsabilità, anche etimologicamente, indica la nostra possibilità e capacità di rispondere, nell'ambito della nostra situazione vitale interiore ed esteriore.

Mentre il dovere ci chiude su noi stessi e ci rende spesso tristi o timorosi, ci fa sentire un senso di costrizione o ripetitività, la responsabilità ci spinge verso l'attualità della nostra vita e verso la scoperta delle nostre reali potenzialità. Dalla responsabilità nasce un senso etico più attuale (in contrasto con la moralità stratificata e più rigida del dovere proprio del Super-Io) che se ascoltato ed espresso nella nostra vita può far emergere i nostri valori umani più sentiti e profondi. 

Vi sono correnti della psicologia (prima fra tutte quella che comprende le teorie di stampo umanistico) che hanno studiato i valori intrinseci ed emergenti nell'animo umano considerandoli fra i bisogni fondamentali dell'uomo. A. Maslow sostiene che una volta risolti, ovvero sufficientemente soddisfatti, i nostri bisogni di base (bisogni fisiologici, sicurezza, bisogni sociali e di appartenenza a gruppi umani per noi sufficientemente significativi ed accettanti), emergono nell'uomo naturali spinte verso la autorealizzazione delle proprie potenzialità e dei valori sentiti come più “alti” nel proprio animo. L'uomo quindi non sarebbe una mera sintesi di impulsi e desideri egoistici ed edonistici, al contrario per sentirsi pienamente realizzato e felice, ognuno di noi tenderebbe a promuovere dentro di sé valori quali l'amore per il prossimo e per l'ambiente, la spinta verso la realizzazione delle potenzialità individuali e collettive.

In base alle teorie della psicologia umanistica e delle cosiddette psicologie trans-personali, per favorire la crescita sufficientemente armonica dell'individuo, sia nell'età dello sviluppo, che in età adulta, occorre che il clima interiore, relazionale e sociale sia il più possibile accettante, e assolutamente non severo e rigido nei giudizi. Anche le teorie e gli studi più attuali delle neuroscienze confermano la presenza di ciò che potremmo chiamare “campi empatici” che si sviluppano all'interno del mondo umano e sembrano essere fondamentali per l'evoluzione individuale, l'apprendimento e ancor più in generale per la salute psichica dell'uomo. Serve insomma un reticolo di attenzioni, amore, sostegno non invasivo affinché ognuno di noi cresca, si sviluppi e mantenga un livello accettabile di salute psicofisica. Già i filosofi Greci, padri della nostra cultura, vedevano l'uomo come “animale sociale”. Nulla di nuovo dunque.

In realtà, l'idea di uomo che deriva dai concetti appena tratteggiati implica una connotazione ben precisa dei valori citati in apertura.Ciò che libera le potenzialità creative e armonizzanti dell'animo umano è un passaggio (anche graduale) dal dominio del dovere al primato della responsabilità. Il riconoscimento della dimensione globale del “fenomeno uomo” non può che portare ad una logica di tipo sistemico, ovvero ad includere nella dimensione personale quella “trans-personale”. L'individuo diventa veramente tale solo in relazione all'altro (Io-Tu) o agli altri (Io- Voi / Io-Noi). Ed ecco che entrando nel dominio della responsabilità e nella dimensione collettiva assume il suo pieno valore il concetto di rispetto.

Etimologicamente la parola rispetto esprime una cura, un'attenzione per sé stessi e per gli altri che ci porta a soffermarci a guardare (e ri-guardare) con attenzione. Rispettando, cioè avendo riguardo per l'altro, non esprimo soltanto una “buona educazione”, ma lo accolgo nel mondo (mio, nostro) come individuo. Spesso facciamo l'errore di considerare il rispetto alla stregua di un valore superato, probabilmente perché istintivamente e quasi automaticamente concepiamo il rispetto come un dovere, un'imposizione, una norma appunto superegoica (cioè derivante dal Super-Io). Ma, come più volte ripetuto, il rispetto, il vero rispetto, non nasce da un obbligo, ma nasce dal luogo più prezioso del nostro animo, dalla nostra naturale (ma non scontata!) tendenza all'empatia ed alla libertà di essere e di esprimerci. Scegliendo di promuovere questa via dentro di noi, scegliamo ovviamente di dare una direzionalità alla nostra vita, verso i nostri valori più alti ed armonizzanti. Non sempre avremo successo, ovviamente: emozioni, paure, vecchi schemi di relazione e comportamento, spesso ci conducono inconsciamente nelle ristrettezze di una morale più rigida e coercitiva.

Per questo, R. Assagioli considera la vigilanza di ognuno di noi sulla propria vita interiore ed esteriore (comportamenti) un elemento fondamentale per mantenere la “barra a dritta”, ovvero per conquistare ogni giorno la libertà di essere e di esprimere le nostre qualità ed i nostri valori umani nel mondo.

La libertà non è licenza: non è assenza di ogni vincolo; non è contro la legge.
Implica impegno, auto dominio, coraggio e altre qualità della vita spirituale;
è stato detto che il suo prezzo è una continua vigilanza.
Perciò va riconquistata o salvaguardata ogni giorno.
R. Assagioli


Davide Fuzzi, psicoterapeuta AnimaéPsiche Seacoop

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