Una riflessione sulla pratica educativa
Negli ultimi anni sempre più spesso mi sono trovato, in diversi contesti lavorativi, a pronunciare queste parole: Volete che vostro figlio faccia qualcosa? Allora fatelo voi per primi.
Dietro questa semplice indicazione ci sono le premesse fondamentali per un atteggiamento educativo efficace. Che si parli di bambini con difficoltà di autoregolazione o no, l'ambiente relazionale svolge una funzione etero regolatrice fondamentale. Detta in soldoni, il bambino sarà competente nella misura in cui il contesto (relazionale e fisico) glielo permetterà.
Pensateci un attimo. Insegnanti che urlano di fare silenzio, genitori che perdono la pazienza e smettono di controllare il proprio comportamento e linguaggio. Si creano delle situazioni paradossali nelle quali l'adulto educante richiede al bambino un comportamento che nemmeno lui riesce a realizzare. Purtroppo queste situazioni capitano più spesso di quanto si possa pensare. Il bambino ha bisogno di interagire con adulti moralmente più competenti di lui per migliorare.
Cambiamo lente e cerchiamo di osservare l'educazione da un altro punto di vista: i principali problemi nascono da un mancato equilibrio tra la sfida e il sostegno. Mi spiego. L'adulto, nella pratica educativa, chiede (sfida) e dà (sostegno). Cosa chiede? Chiede aderenza alle norme proprie di quell'ambiente e di quella comunità, chiede anche di raggiungere degli obiettivi, di produrre qualcosa, che porti il bambino ad un livello di abilità superiore. Cosa dà? Può dare molte cose, ma per economia di spazio qui segnalo attenzione, calore emotivo e disponibilità di tempo. Ora, uno stile educativo eccessivamente incentrato sul dare produrrà un contesto permissivo; uno incentrato sul chiedere porterà ad un ambiente autoritario; uno dove l'adulto è spesso assente sia nel dare sia nel chiedere, porterà ad un contesto disattento (forse il più pericoloso) nel quale al bambino si chiede implicitamente di regolarsi da solo, che è proprio quello che non può fare.
Quindi? Cosa fare? Una cosa semplice quanto complessa, bisogna trovare il giusto equilibrio tra sfida e sostegno. Più che di scienza si tratta di arte, perché questo equilibrio non sta scritto in nessun libro, perché in ogni situazione va immaginato e costruito insieme al bambino e perché non è mai definitivo, è per sua natura provvisorio. Quando questo accade ci troviamo in un contesto autorevole.
L'arte non s'insegna, ma per fortuna l'educazione è anche artigianato, che si apprende. L'educazione dei bambini richiede fondamentalmente il rispetto di due parole-chiave: prevedibilità e costanza. I bambini dovrebbero sapere sempre cosa, come e quando fare, e le conseguenze positive e negative del loro comportamento (regole). Questo set di regole dovrebbe essere costante nel tempo e nello spazio.
E se le cose vanno male? Pazienza, fa parte del gioco. L'importante è non perdere mai la capacità di apprendere, anche (soprattutto) dalle situazioni più dolorose. In questo modo saremo il miglior modello possibile per i bambini. Potremo veicolare il messaggio che anche l'errore o la sconfitta possono diventare fonte di miglioramento, se vengono interpretati non come fallimento personale ma come occasione per individuare nuovi modi di procedere (apprendere), avendo fiducia incondizionata che domani farà da solo quello che oggi fa insieme a noi.
Children see, children do, diceva uno spot molto diffuso, e in effetti l'apprendimento per imitazione in età evolutiva è tra i più potenti. Anche per questo se volete che vostro figlio faccia qualcosa, allora fatelo voi per primi.
Michele Di Felice, psicologo e psicoterapeuta
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